Gli indicatori climatici sono fuori controllo. I leader di Cina e Russia si defilano. Le previsioni degli scienziati ci proiettano in un mondo in cui gli uragani a Catania e gli incendi indomabili in Siberia diventano la norma. I combustibili fossili attirano come una calamita i soldi dei governi per la ripresa post covid. Era difficile immaginare una partenza più in salita per la Cop26, la conferenza organizzata dalle Nazioni Unite a Glasgow dal 1 al 12 novembre per definire gli impegni dei governi a difesa della stabilità climatica.
È un caos che rispecchia la mancanza di un soft power capace di dare forza alle capacità crescenti della green economy che avrebbe gli strumenti tecnologici e finanziari per guidare la transizione dall’economia del petrolio e del carbone all’economia delle rinnovabili e del recupero della materia. L’ultima parola comunque non è detta: nell’arco di due settimane, dalle conclusioni del G20 di Roma a quelle della Cop26, si misurerà la possibilità di un accordo all’ultimo istante.
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